Wes Anderson stravolge le sue abitudini e cambia radicalmente stile nel suo nuovo film Asteroid City, presentato in concorso ufficiale al Festival di Cannes e in onda in televisione questo martedì 9 gennaio, alle 21.10 su Canal+. Ovviamente non è così. Il cineasta ricade nelle sue tradizionali cadute estetiche: rapidi pano, carrellate verticali e orizzontali, split-screen e personaggi che si posizionano nuovamente al centro dell'inquadratura. Abitudini che a molti piacciono, ad altri no, e che qui raggiungono nuove vette, con l'americano che privilegia definitivamente il contenitore rispetto al contenuto. Priva di veri e propri paletti narrativi, la macchina (peraltro bellissima) finisce per funzionare a vuoto.
1955. In un'immaginaria cittadina americana nel deserto, giovani studenti e i loro genitori si riuniscono per una gara di studi quando un alieno si autoinvita alla festa. O almeno, questa è l'ambientazione - a metà tra Hopper e Hockney - creata da uno scrittore (Edwart Norton) la cui opera Asteroid City sta per essere messa in scena. Il film di Wes Anderson si muove così tra l'ambientazione delle scene e degli attori (in un formato quadrato di immagini in bianco e nero) e le suddette scene (nello stile riconoscibile del regista), lanciate sullo schermo dallo scrittore e da un baffuto Bryan Cranston. È prevedibile che i confini tra realtà e finzione diventino permeabili a più riprese, ma l'aspetto meta rallenta la narrazione, così come la frammentazione del film in atti.
Cercando di infilare tutta la sua banda di amici in microscene appartenenti alla stessa sequenza (quasi 30 attrici e attori dell'universo di Wes Anderson o meno, tra cui Tilda Swinton, Adrian Brody, Willem Dafoe, Edward Norton, Tom Hanks, Margot Robbie, Maya Hawke, Steve Carrel), il regista perde l'essenza di ciò che sta cercando di dire e non sfrutta al meglio alcuni personaggi che avrebbero potuto essere succulenti: il trio di sorelline, la banda dei Goonies HPI e persino l'alieno di un film di Tim Burton.
Qualche esplosione diassurdità , come tante timide caricature degli anni '50 (test atomici che non spaventano nessuno, una parodia della CIA e una tenera satira degli Stati Uniti tanto bellicosi quanto bigotti), non riesce a compensare la dolce superficialità diAsteroid City, fatta eccezione per gli scambi tra Jason Schwartzman e Scarlett Johansson, privi di inutili movimenti di macchina e, anzi, molto azzeccati. Così come il dialogo tra lo stesso Schwartzman e Margot Robbie - che sembra essere stata rimossa dal film come il suo personaggio nell'opera teatrale - che è inquietantemente bello, ma troppo breve.
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