In apertura della Quinzaine des Cinéastes, Le Procès Goldman (Il processo Goldman) di Cédric Kahn ripercorre il controverso caso di Pierre Goldman, attivista di estrema sinistra accusato di aver ucciso due farmacisti sul Boulevard Richard Lenoir di Parigi nel 1969.
Sette anni e un primo processo che lo condannò all'ergastolo dopo, Cédric Kahn aprì l'aula del secondo processo di Pierre Goldman, rinviato alla corte d'assise di Amiens per motivi procedurali. Tra le file c'erano Simone Signoret e Régis Debray, venuti a dare il loro autorevole sostegno all'uomo che ritenevano ingiustamente accusato e che, appoggiato da un'ampia parte dell'intellighenzia di sinistra, sosteneva in realtà la sua innocenza.
Lontano dalle corse assassine in decappottabile bianca di Roberto Succo (2001), Il processo Goldman di Cédric Kahn è un vero thriller poliziesco di quelli che non si vedono più. In un momento in cui la moda del true-crime non è mai stata così diffusa nei palinsesti e sulle piattaforme di streaming, il regista francese è interessato solo all'aspetto giudiziario del caso, in quest'aula di tribunale che assomiglia a un palcoscenico teatrale.
Difeso da Maitre Kiejman (Arthur Harari), che all'epoca aveva poca esperienza di processi penali, Arieh Worthalter interpreta con ardore e brio un Pierre Goldman di principi. Tenendo insieme il processo - e, per filo e per segno, il film - dall'inizio alla fine con la sua risposta e la sua sfida a tutti, fino al suo stesso avvocato, questo antieroe è servito da alcuni dialoghi accuratamente realizzati (alcuni dei quali pronunciati dal vero Goldman durante i suoi successivi processi), indispensabili per un buon film processuale.
Il film trae tutta la sua forza da questi codici, portati all'estremo. La sua temporalità densa e senza respiro fa vivere il processo dall'interno, al ritmo della sfilata dei testimoni che depongono in tribunale, quasi in tempo reale. Le parole saturano lo spazio e il tempo, senza lasciare spazio al silenzio fino al verdetto, anch'esso coperto dalle parole del pubblico.
Dai dettagli agli sfoghi, dai bon mots beffardi al confronto tra due mondi contrapposti sui banchi del pubblico - il vecchio e il nuovo, la destra e la sinistra, i giovani con ideali e le forze dell'ordine accusate, anche in quel caso, di violenza - questo impeccabile film a porte chiuse non si concede alcuno sguardo sul mondo esterno, anche se solo nella salle des pas perdus, né alcuna rappresentazione visiva delle parole di una delle due parti. Si può o non si può prendere in parola i testimoni oculari, ma come tutti sappiamo, il diavolo (e in questo caso l'assoluzione o la condanna) è nei dettagli.
Affrontando temi mai così attuali (il trio implacabile di razzismo, antisemitismo e fascismo), fino alla resa dei conti che rompe i ranghi e il ritmo del film, Il processo Goldman è, in definitiva e politicamente, terribilmente contemporaneo.
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